Costruire Contesti Organizzativi Inclusivi per le Persone con Disabilità. Le Potenzialità della Leadership manageriale

Domenico Raucci, Manuela Paolini


Le Persone con Disabilità (People with Disability, PwD) si trovano spesso ad affrontare una serie di sfide cognitive, comportamentali e culturali sui luoghi di lavoro, per evitare trattamenti iniqui e forme di esclusione più o meno evidenti. Il superamento di simili “barriere” è oggetto di crescente attenzione da parte di diverse organizzazioni internazionali (come l’Organizzazione Internazionale del Lavoro, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, l’Organizzazione delle Nazione Unite sia con la Convenzione sui diritti delle PwD che con gli Obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030), ma anche di percorsi di normazione a livello europeo (si vedano, tra le altre, la Direttiva Europea sulla parità di trattamento in materia di occupazione, la Strategia europea sulla disabilità 2021-2030) e nella stessa legislazione italiana.

In quest’ultima, a partire dalla L. 68/1999, si è assistito ad una progressiva promozione di pratiche di disability management nei contesti organizzativi, prevedendo una regolamentazione sempre più stringente in particolare per le aziende pubbliche, in considerazione della loro peculiare natura. Lo scopo è disporre l’allestimento di “ragionevoli accomodamenti” nei contesti organizzativi per consentire alle PwD di svolgere il proprio lavoro al pari di tutti gli altri dipendenti, favorendo così una più ampia affermazione dei principi di giustizia sociale, equità ed inclusione lavorativa.

Tuttavia, la formale implementazione di tali accomodamenti, per quanto possano ritenersi “ragionevoli”, può non essere sufficiente a perseguire simili finalità.

È fondamentale, infatti, che le aziende, in primis quelle pubbliche, si impegnino a costruire e a promuovere processi di condivisione del valore sociale dell’inclusione con tutti i propri dipendenti in modo da dare concreta espressione operativa ai principi di Social Responsibility dell’organizzazione.

Simili processi possono essere indotti e governati dalle aziende secondo vari approcci e pratiche organizzative che, per il tramite dei manager, permettano di segnalare tali principi dell’organizzazione. In particolare, l’adozione da parte dei manager di uno stile di leadership inclusivo può svolgere un ruolo chiave. Lo stile di leadership inclusivo, infatti, esprime un insieme di approcci, orientamenti e comportamenti che il leader adotta per supportare i membri dell’organizzazione a sentirsi intimamente parte della stessa, delle sue attività e dei suoi risultati, pur mantenendo ciascuno la possibilità di esprimere le proprie unicità e le proprie diverse abilità. Agendo come role model, la leadershipinclusiva verso le PwD può favorire in tutti i dipendenti lo sviluppo di un senso di Social Responsibility verso il valore dell’inclusione e coerentemente indurre comportamenti pro-sociali inclusivi delle PwD all’interno dell’organizzazione.

Recenti studi nel contesto delle aziende pubbliche stanno esplorando i fattori che alimentano tali drivers psico-comportamentali della Social Responsibility a livello individuale. Lungo queste direttrici, le ricerche sulla leadershipmanageriale hanno evidenziato le sue funzioni di catalizzatore ed indirizzo delle motivazioni e dei comportamenti dei dipendenti verso obiettivi e finalità attesi dall’organizzazione, inclusi quelli di Social Responsibility. All’interno di questo quadro teorico, abbiamo condotto uno studio empirico per verificare le potenzialità di uno stile di leadership inclusivo da parte dei manager di influenzare positivamente i comportamenti inclusivi verso le PwD da parte dei dipendenti-follower.

L’analisi ha interessato un campione di dipendenti senza ruoli manageriali di Comuni italiani aventi più di 50.000 abitanti e almeno 200 dipendenti. La scelta deriva dalle previsioni del D.L. 75/2017 e della L. 227/2021 che, per i Comuni aventi queste caratteristiche, dispongono l’identificazione di un disability manager quale figura responsabile dell’allestimento delle pratiche di disability management e dell’efficace funzionamento dei “ragionevoli accomodamenti” a beneficio delle PwD.

Ai dipendenti di questi Comuni abbiamo somministrato un questionario volto a misurare i costrutti oggetto dell’indagine procedendo poi a sottoporre ad analisi statistiche i dati forniti in modo anonimo dai rispondenti.

I risultati emersi hanno documentato come le percezioni dei dipendenti di uno stile di leadership inclusivo adottato dal proprio superiore sono in grado di veicolare e promuovere nei loro schemi cognitivi i principi di inclusione sociale, alimentando il loro senso di appartenenza all’organizzazione e il desiderio di essere apprezzati sul lavoro per le proprie unicità. Tali influenze, attivando i processi psicologici e gli outcomes individuali descritti dalla Teoria dello scambio sociale, hanno evidenziato nel nostro studio come i dipendenti-follower abbiano seguito il leader nell’adozione di approcci inclusivi verso le PwD, ricambiando questo orientamento pro-sociale con analoghi comportamenti inclusivi delle PwD. Tali comportamenti inclusivi verso le PwD hanno prodotto effetti positivi all’interno dell’azienda, ma hanno esteso la propria influenza anche oltre i confini organizzativi. Si sono infatti registrati miglioramenti nei comportamenti prosociali dei dipendenti anche nelle relazioni di fornitura di servizi pubblici alle PwD quali utenti esterni all’azienda.

Tali evidenze contribuiscono alla ricerca sui possibili drivers della Social Responsibility a livello individuale e sulle più efficaci pratiche di implementazione del disability management nelle organizzazioni pubbliche. Alla luce delle stesse, i manager pubblici dovrebbero impegnarsi nell’adozione di stili di leadership che interpretino i “ragionevoli accomodamenti” andando oltre il mero adempimento formale della normativa, quale precondizione per favorire pratiche di disability management agevolanti una sostanziale inclusione delle PwD sul luogo di lavoro.

Tuttavia, molto c’è ancora da fare per accrescere la diffusione di simili approcci e comportamenti inclusivi verso le PwD. Infatti, le diverse abilità assumono differenti connotazioni e tali differenze possono influenzare il tipo di risposte psico-comportamentali degli altri colleghi. Future ricerche, quindi, potrebbero approfondire come le diverse tipologie di disabilità possano impattare sulla relazione leadership inclusiva – comportamenti inclusivi verso delle PwD indagata nel nostro studio. Al contempo, anche le caratteristiche demografiche dei dipendenti, quali l’età, il genere, il livello di formazione, così come i tratti della personalità dei diversi attori organizzativi coinvolti in tale relazione, necessiterebbero di essere investigate in ulteriori ricerche come fattori intervenienti nelle dinamiche osservate.

Costruire Contesti Organizzativi Inclusivi per le Persone con Disabilità. Le Potenzialità del Performance Management

contesto lavorativo inclusivo, sono presenti tra le altre persone con disabilità motoria e visiva

Domenico Raucci e Manuela Paolini


Le Persone con Disabilità (People with Disability, PwD) si trovano spesso ad affrontare una serie di sfide cognitive, comportamentali e culturali sui luoghi di lavoro, per evitare trattamenti iniqui e forme di esclusione più o meno evidenti. Il superamento di simili “barriere” è oggetto di crescente attenzione da parte di diverse organizzazioni internazionali (come l’Organizzazione Internazionale del Lavoro, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, l’Organizzazione delle Nazioni Unite sia con la Convenzione sui diritti delle PwD che con gli Obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030), ma anche di percorsi di normazione a livello europeo (si vedano, tra le altre, la Direttiva Europea sulla parità di trattamento in materia di occupazione, la Strategia europea sulla disabilità 2021-2030) e nella stessa legislazione italiana.

In quest’ultima, a partire dalla L. 68/1999, si è assistito ad una progressiva promozione di pratiche di disability management nei contesti organizzativi, prevedendo una regolamentazione sempre più stringente in particolare per le aziende pubbliche, in considerazione della loro peculiare natura. Lo scopo è disporre l’allestimento di “ragionevoli accomodamenti” nei contesti organizzativi per consentire alle PwD di svolgere il proprio lavoro al pari di tutti gli altri dipendenti, favorendo così una più ampia affermazione dei principi di giustizia sociale, equità ed inclusione lavorativa.

Tuttavia, la formale implementazione di tali accomodamenti, per quanto possano ritenersi “ragionevoli”, può non essere sufficiente a perseguire simili finalità.

È fondamentale, infatti, che le aziende, in primis quelle pubbliche, si impegnino a costruire e a promuovere processi di condivisione del valore sociale dell’inclusione con tutti i propri dipendenti in modo da dare concreta espressione operativa ai principi di Social Responsibility dell’organizzazione.

Simili processi possono essere indotti e governati dal management aziendale secondo vari approcci e meccanismi operativi, tra i quali particolare rilievo possono assumere i Sistemi di Performance Management (SPM). Questi sono sistemi direzionali impiegati per informare e supportare il decision-making dei managers, ai vari livelli dell’organizzazione aziendale, al fine di perseguire gli obiettivi organizzativi inducendo congruenti comportamenti nei dipendenti di cui sono responsabili. 

Secondo alcuni studi aziendali di management control, il SPM può essere concepito come un’articolazione di controlli formali (come i controlli sui risultati e i controlli sulle azioni), funzionanti secondo meccanismi proceduralizzati, e controlli informali (come i controlli culturali e i controlli del personale), basati su meccanismi di controllo sociale. In particolare, i controlli culturali agiscono sui processi di costruzione, comunicazione e diffusione di norme, credenze e valori fondamentali per l’organizzazione attraverso processi interpersonali e di scambio sociale, mentre i controlli del personale agiscono sulle prospettive gestionali dei dipendenti, dalla selezione, alla formazione, allo sviluppo della carriera, per “plasmare” orientamenti cognitivo-comportamentali il più possibile coerenti con le finalità aziendali.

Rispetto a queste ultime due tipologie di controlli, recenti studi sui SPM suggeriscono di valorizzare le modalità con cui i manager li impiegano per promuovere l’affermazione dei principi di Social Responsibility nel contesto aziendale. I manager, infatti, quali agenti dell’organizzazione, potrebbero orientare i controlli culturali e del personale per trasmettere ai propri subordinati il valore che l’inclusione e il clima inclusivo verso le PwD riveste per l’azienda. Si tratta di legami dei SPM con tali outcomes di Social Responsibility a livello individuale che stanno emergendo in letteratura. Se adeguatamente approfonditi, possono favorire processi di interiorizzazione del valore dell’inclusione in tutti i dipendenti e percorsi di più efficace funzionamento delle pratiche di disability management.

Su tali basi e con queste finalità di contribuzione agli studi, abbiamo condotto una ricerca su un campione di impiegati, senza ruoli manageriali, di Comuni italiani aventi più di 50.000 abitanti e almeno 200 dipendenti. La scelta deriva dalle previsioni del D.L. 75/2017 e della L. 227/2021 che, per i Comuni aventi queste caratteristiche, dispongono l’identificazione di un disability manager quale figura responsabile dell’allestimento delle pratiche di disability management e dell’efficace funzionamento dei “ragionevoli accomodamenti” a beneficio delle PwD. Ai dipendenti di questi Comuni abbiamo somministrato un questionario volto a misurare i costrutti oggetto dell’indagine, procedendo poi a sottoporre ad analisi statistiche i dati forniti in modo anonimo dai rispondenti.

I risultati emersi hanno evidenziato la rilevante influenza dei controlli informali nel favorire un clima inclusivo per le PwD, indirizzando coerentemente con tale principio le motivazioni e i comportamenti sul lavoro dei dipendenti pubblici indagati. In questi ultimi, infatti, si sono registrate percezioni di impiego dei controlli culturali e del personale, da parte dei propri superiori, utili ad intensificare il loro attaccamento emotivo all’organizzazione e ai valori veicolati rispetto agli scopi di inclusione. La formazione di questo tipo di “identità sociale”, alimentando nei dipendenti la consapevolezza di essere parte attiva nel perseguimento degli obiettivi di Social Responsibility dell’organizzazione, ha influenzato il loro senso di responsabilità individuale nel farsi promotori, a loro volta, di un clima inclusivo per le PwD sul luogo di lavoro.

Tali risultati mettono in evidenza il potenziale dei SPM andando oltre le classiche funzioni di supporto alle analisi costi-benefici per valutare la convenienza ad occupare le PwD e il mero rispetto delle normative previste a loro “tutela”. In particolare, dal nostro studio emerge come l’uso efficace dei controlli informali consente di realizzare più sostanziali processi di inclusione delle PwD sul luogo di lavoro, fornendo un rinnovato vigore al perseguimento dei tradizionali valori di accountability, solidarietà, giustizia, equità e inclusione sociale che connotano le aziende pubbliche.

Si tratta di evidenze aventi importanti implicazioni per il management pubblico, ma anche per i policy makers, poiché segnalano la rilevanza di approcci all’impiego dei SPM che: 

(a) veicolino il valore di un clima lavorativo inclusivo per le PwD, quale principio di Social Responsibilitydell’organizzazione, sfruttando il potere operazionalizzante dei controlli informali quali agenti di influenza sulla cultura e sui comportamenti dei dipendenti; 

(b) ricerchino maggiori livelli di integrazione e coordinamento intra-organizzativo tra le aree funzionali del controllo interno e della gestione del personale che, più direttamente, sono coinvolte nell’efficace funzionamento delle pratiche di disability management.

Accanto alla rilevanza di tali risvolti, dobbiamo anche osservare come il nostro studio presenti alcuni limiti, tra cui, la soggettività dell’esperienza dei rispondenti circa l’inclusione delle PwD sul luogo di lavoro e le caratteristiche dei contesti organizzativi di riferimento, che circoscrivono la generalizzabilità dei risultati emersi. Riteniamo che questi aspetti possano rappresentare interessanti prospettive di sviluppo ed approfondimento per future ricerche sul tema.

Il Ruolo dell’Esperienza Visiva nello Sviluppo delle Abilità Numeriche

L’interazione tra esperienza visiva e sviluppo delle abilità numeriche è un tema affascinante e complesso. Quanto influisce la mancanza della vista sui processi di rielaborazione numerica, sia in matematici affermati che in soggetti molto giovani? Tre studi recenti hanno gettato le basi per trovare una risposta a questa domanda. Sebbene sia noto che la vista gioca un ruolo fondamentale nei processi cognitivi, e sebbene esistano differenze nel modo in cui soggetti vedenti e ciechi elaborano a livello cerebrale le strutture numeriche, le performance di questi ultimi risultano comunque uguali, se non talvolta superiori.

Entrando nello specifico delle ricerche, la prima (Kanjlia, Feigenson, Bedny 2021) esplora la capacità innata del cervello umano di discriminare e confrontare numeri, anche in assenza di esperienza visiva. Attraverso l’analisi dei pattern di attività cerebrale nell’IPS (solco intraparietale), i ricercatori hanno scoperto che gli individui vedenti e ciechi mostrano una discriminazione numerica simile. Ciò suggerisce che l’esperienza uditiva e tattile con gli insiemi potrebbe essere sufficiente per lo sviluppo tipico delle rappresentazioni numeriche.

La seconda ricerca (Crollen et al. 2021) si concentra sull’impatto della cecità congenita sull’apprendimento numerico durante l’infanzia. I risultati mostrano che i bambini ciechi non solo sviluppano abilità numeriche simili o superiori rispetto ai loro coetanei vedenti, ma dimostrano anche una migliore performance nella memoria verbale. Ne deriva che la cecità congenita non limita lo sviluppo delle competenze numeriche di base.

Infine, il terzo studio (Amalric, Denghien, Dehaene 2018) esplora le capacità matematiche avanzate in individui ciechi, incluso un gruppo di matematici professionisti. I risultati indicano che la rete cerebrale coinvolta nel ragionamento matematico avanzato si sviluppa anche in assenza di esperienza visiva. L’attivazione aggiuntiva nella corteccia occipitale suggerisce che il cervello dei matematici ciechi potrebbe adottare strategie di compensazione, come l’utilizzo di immagini mentali o la riassegnazione delle funzioni corticali.

In sintesi, questi studi forniscono prove convincenti che l’esperienza visiva non è un prerequisito essenziale per lo sviluppo delle abilità numeriche. Tuttavia, l’interazione tra esperienza sensoriale, memoria e abilità cognitive rimane un’area di ricerca interessante e in continua evoluzione. Sono necessarie ulteriori indagini per comprenderne appieno i meccanismi sottostanti e le implicazioni per l’educazione e la riabilitazione degli individui con disabilità visive.

Bibliografia

Shipra Kanjlia, Lisa Feigenson, Marina Bedny, Neural basis of approximate number in congenital blindness, Cortex, Volume 142, 2021, Pages 342-356, ISSN 0010-9452, https://doi.org/10.1016/j.cortex.2021.06.004.

Marie Amalric, Isabelle Denghien, Stanislas Dehaene, On the role of visual experience in mathematical development: Evidence from blind mathematicians, Developmental Cognitive Neuroscience, Volume 30, 2018, Pages 314-323, ISSN 1878-9293,
https://doi.org/10.1016/j.dcn.2017.09.007.

Virginie Crollen, Hélène Warusfel, Marie-Pascale Noël, Olivier Collignon, Early visual deprivation does not prevent the emergence of basic numerical abilities in blind children, Cognition, Volume 210, 2021, 104586, ISSN 0010-0277, https://doi.org/10.1016/j.cognition.2021.104586.

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